29 Giu 2014 Che cosa è un gioco? La definizione di Donald Norman
Durante i miei studi universitari alla facoltà di Scienze della Comunicazione di Siena, ho avuto la fortuna di avere come docente il designer Compasso D’Oro Isao Hosoe.
Le sue lezioni mi illuminavano sui perché del mondo (almeno, quello manufatto) e così volli domandargli cosa fosse, per lui, un gioco.
Non presi appunti della sua risposta, e la mia memoria oggi la ricorda cosi’: “Il gioco è un sistema di elementi all’interno del quale, posto un vincolo, gli altri si muovono liberamente”.
Questa definizione mi colpì perché, per me, non era affatto scontata: forse perché in quel periodo ero molto concentrata sui significati sociali e comunicativi, e non meccanici, del gioco (non che la sua definizione, in realtà, manchi di implicazioni relazionali, sociali e comunicative!). E mi offrì la vista di una dimensione che nella mia esperienza di giocatrice non era così chiara.
Molti libri sul gioco e sui giochi, e molti anni dopo, ho avuto la fortuna di incontrare Donald Norman.
Ed è stato automatico desiderare di ripetere l’esperienza (automatismi, routine, memoria, reiterazione, esperienza, interazione, gioco.. mumblemumble ^_-).
Chi è Donald Norman? È uno dei massimi esponenti mondiali di design, ergonomia e scienze cognitive, professore emerito del MIT di Boston, co-fondatore del Nielsen Norman Group, ex vicepresidente del gruppo di ricerca sulle tecnologie avanzate di Apple e autore di numerosi libri tra cui “La caffettiera del Masochista”, vera e propria pietra miliare negli studi di design e ergonomia.
Un genio… insomma…
Ed una delle persone che avrei voluto incontrare dal vivo nella mia vita da quando ho studiato sulle sue opere. E che ho incontrato! Grazie al Communication Strategies Lab dell’Università degli Studi di Firenze, che sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca ha organizzato il 21 maggio a Lucca (San Micheletto) un incontro dal titolo “Dalla nuova edizione della Caffettiera del masochista ai masochismi tecnologici di nuova generazione”.
Bene… ecco la sua definizione.
“A game is interesting as, is well known, is impossible to define, but is something that is a challenge. We do it for enjoyment but it is always a challenge. That’s why game design is interesting. For example, Angry Birds Game (il casual game di Rovio Entertainment Ltd, ndr) is difficult to stop. I think it’s because is so clevery designed. I get almost excited. I say ‘Oh.. I was so close! I could do it!’. A good game is always to get close and never gain”. E dopo qualche secondo ha aggiunto: “That’s life… I retired twice.. And I started again.”.
Nelle sue parole, Norman sembra porre insieme due condizioni: il gioco è impossibile da definire (e quindi questa non è una definizione) ed ha la caratteristica di essere una sfida (allora forse l’affermare che non sia definibile, contiene intrinsecamente una sfida, nascondendo quindi il secondo termine della definizione ..che perde un po’ di indefinibilità ^_-).
Vuoi allora vedere che il gioco è interessante anche perché nel tentare di definirlo c’è sempre qualcosa che sfugge? E perché questa costante sfida, per chi è disposto ad accoglierla, non mantiene altre promesse se non quella di reiterarsi?
Norman dice anche che un “buon gioco” (non lo dice esplicitamente, ma credo che intenda questo) è difficile da smettere. Su questo, beh la riflessione potrebbe andare verso una “deriva patologica“. Preferisco tradurla con il fatto che un buon gioco ti invoglia a continuare a giocarlo.
Norman parla ovviamente del ruolo del “disegno” di un gioco: disegno concettuale, filosofico, meccanico, comunicativo, estetico. Un gioco “bello e buono” insomma.
E poi ancora la sfida. Il gioco come sfida. La sfida della vita. Le sfide della vita e nella vita (e nelle vite). Che anche quando si pensa di aver perso, o si vuole smettere di giocare, poi succede qualcosa per cui… beh lo sapete anche voi come funziona. Il gioco, intendo.
Grazie Donald. E grazie per la caffettiera. È sempre utile, nella vita, tenerla ben presente!
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