#DoctorWho arriva @Luccacandg: Steve #Moffat e Jamie #Mathieson parlano della nona stagione a breve su #Rai4

#DoctorWho arriva @Luccacandg: Steve #Moffat e Jamie #Mathieson parlano della nona stagione a breve su #Rai4

un momento dell'incontroE’ simpatico come uno showman. Usa l’ironia inglese per incantare il pubblico – in questo caso la stampa – ma anche per dare risposte taglienti, con il sorriso e come se facesse una battuta. Steve Moffat ha incontrato la stampa per presentare l’anteprima della nona stagione di Doctor Who, che andrà a breve in onda su Rai 4.

Assieme a Jamie Mathieson, sceneggiatore da due anni delle storie del Dottore più famoso al mondo, il produttore e sceneggiatore non solo di Doctor Who, ma anche di un’altra serie di culto, Sherlock, ha risposto a tutte le domande che gli sono state poste.

La domanda che lo ha fatto scherzosamente ironizzare di più è stata quella sulla possibilità che ci possa essere un’incarnazione femminile del Dottore: “Sono solo cinque anni che rispondo a questa domanda – ha detto ridendo – su youtube potete trovare la risposta più o meno tradotta in tutte le lingue. Comunque, si, la possibilità esiste che il Dottore abbia un’incarnazione femminile. Perché no? Se esisteranno i presupposti e la storia ci porterà a quel punto, non vedo perché non debba esserci. Ecco. Adesso avete la risposta anche in italiano”, ha concluso, sempre ridendo, assicurando però che “Peter Capaldi resterà per sempre”.

Sul fatto che possano tornare dei personaggi ‘del passato’, come il Capitano Jack Harkeness, è più o meno possibilista: “Ogni personaggio può tornare – afferma – deve però essere supportato da una storia che ne giustifichi il ritorno. Io non avrei mai pensato che tornasse River Song, invece, è inaspettatamente tornata per Natale. E’ una scelta narrativa, in definitiva”.

Sull’argomento è intervenuto anche Mathieson: “Al momento non è accaduto – ha spiegato – perché non c’erano i presupposti narrativi. E’ un po’ come i Dalek: al momento non ho una buona idea per i Dalek: mi manca un uso nuovo e trovare una nuova angolazione. Appena ce l’avremo, torneranno”.

Sull’aspetto più strettamente narrativo, Moffat spiega che non esiste un gruppo consolidato di sceneggiatori, ma un gruppo aperto: “L’impegno creativo è molto alto, perché in ogni episodio vi è un diverso scenario e, pertanto, è necessario avere sempre nuove, ma valide idee per sviluppare le avventure del Dottore. Non ci sono regole precise che seguiamo per la stesura delle sceneggiature: possiamo tranquillamente mettere i dinosauri e le astronavi nello stesso episodio, perché ci piace, ci diverte. Lo ammetto, sono come un dodicenne che fa un po’ quello che gli pare e soprattutto che gli piace e gli altri sono come me. Forse non è molto ‘dignitoso’ per persone della mia età, ma sicuramente è divertente”.

“Non abbiamo accesso agli script degli altri episodi – spiega invece Mathieson – e questo sicuramente rende difficile scrivere le sceneggiature. A volte ci viene dato uno stralcio e, aiutandosi anche con quello, possiamo vedere come sviluppare la storia. Quando ho iniziato a scrivere per il Dottore, leggendo quello che stavano scrivendo gli altri, ho capito che si tratta di un personaggio, almeno questo Dottore, che vuole arrivare al risultato. Non è interessato al come, ma vuole il risultato: l’ho nella mia mente paragonato un po’ al Doctor House. Insomma è un po’ un Doctor House che si muove nello spazio e nel tempo con il Tardis”.

Altra domanda che si avverte fa venire la pelle d’oca al produttore è quella relativa a un possibile crossover tra le sue due serie: Doctor Who e Sherlock. “Non esiste alcuna possibilità che venga realizzato un crossover tra queste due serie. Mai”. Lo dice sorridente, ma fermo, deciso e poi motiva anche una risposta di questo genere: “In realtà non può esistere la possibilità di un crossover perché le due serie non hanno punti in comune. Sarebbe una forzatura che non avrebbe alcun senso”. Poi si ferma e ci pensa un momento: “Sarebbe anche molto costoso in effetti e, no, non ce lo possiamo permettere proprio” e di nuovo scoppia in una risata.

Non manca la domanda su Sherlock e sull’aver riportato le avventure del più grande investigatore al mondo nella sua epoca: “Per me è stato estremamente divertente realizzare questo ritorno alle origini – spiega –. Lo potevamo fare, la possibilità l’avevamo e l’abbiamo sfruttata al meglio”.

Finalmente è il mio turno e non posso non togliermi la curiosità sulle motivazioni che hanno spinto Moffat a dare un’impronta più ‘dark’ e più cinica alla nuova incarnazione del Dottore: “In effetti non è verissimo che Capaldi sia più cinico e oscuro rispetto a Matt Smith. Gli script di Smith non erano poi così lontani da quelli di Capaldi: la differenza, lo dico spesso, la fa l’incarnazione del Dottore, il che significa che la fa l’interpretazione dell’attore di quella incarnazione. Alla fine Matt Smith aveva dato un’impronta diciamo più dolce al Dottore, mentre Capaldi è diverso: il suo Dottore ha la consapevolezza di essere Doctor Who. A lui non importa se piace alla gente o se il suo modo di fare non piace. Non gli interessa questo aspetto. A lui basta vincere. Anzi, lui è il Dottore, deve vincere, non necessariamente piacere”.

L’incontro dopo qualche altra chiacchiera si è avviato alla chiusura e, prima di terminare, Moffat ha lasciato le sue impronte per la ‘walk of fame’ di Lucca Comics and Games: un importante riconoscimento per un uomo che, con le sue serie, ha cambiato il panorama delle serie televisive.

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