06 Nov 2021 Grazie, Lucca. Contro, ma soprattutto pro, del festival numero 54. Visto da Gattaiola.
Una Lucca necessaria, importante, (in)evitabile, da non perdere, organizzata bene, organizzata male, organizzata, non organizzata, affollata, contenuta, dispersiva, ordinata, frammentata, desiderata, sognata, realizzata… andata.
Quanti aggettivi per una edizione (la 54!) piena di aspettative, che però ha pienamente colto nel segno e nel cuore del fandom con il suo “esserci”, con il suo messaggio di “normalità”, di “ritorno alla vita”, di “ci siamo ancora e stiamo bene”. Lei, la prima e più ambita dei festival di settore, trasversale e capace di parlare a tutti.
Una Lucca cui essere grati.
Una Lucca con (molti) meno ospiti, eventi, niente sessioni di giochi di ruolo dal vivo, senza sezione junior, senza palco per i concerti, con il Japan Town” lontano” che è stato il vero imbuto delle criticità del festival – pioggia compresa -, con “tanti altri difetti” (cit.), difficoltà, intoppi, facilissima da criticare, ma premiata dal pubblico e dagli “amici”, come ogni anno.
Poteva essere una Lucca vuota, e non lo è stata. E a poco è valso il tetto giornaliero di biglietti per tenere lontana “la gente”, se comunque per le principali strade del centro (quelle che collegavano i padiglioni) le persone avevano la densità (anche se non il numero complessivo) degli anni migliori. L’organizzazione ha dichiarato 90.000 biglietti venduti. Ma fuori ai padiglioni, e nelle stanze e case in affitto, c’erano gli accompagnatori, le famiglie, gli amici.
Il pubblico ha apprezzato numerosissimo che questo mondo fantastico fosse di nuovo qui ad attenderlo, anche se un po’ scucito, con qualche toppa, i sistemi che non rispondono subito ai comandi, come una gloriosa astronave che è rimasta ferma troppo a lungo e ora deve ricalibrare tutto. Qui il nostro articolo “a caldo”. Del resto, basta pensare che se organizzi una festa per un tot di persone, e ne arrivano di più, non tutti potranno avere bicchieri e forchette, si dovrà fare a turno per sedersi e ci sarà la fila per andare in terrazza o in bagno. E se scenderai in fretta a comprare ciò che manca, comunque un disagio verrà nel frattempo percepito.
Negli anni passati, nei mesi precedenti il festival, la città si preparava potenziando i servizi, riorganizzando viabilità e parcheggi, allestendo logistica e trasporti. Quest’anno, con una aspettativa di pubblico di un terzo (tetto di 80, poi 90mila biglietti), (forse anche meno?), la preparazione del festival non è stata della stessa misura, non poteva esserlo. E, per fortuna, in molti questo lo hanno capito, scegliendo di conseguenza anche se venire e sopportare i disagi, o tornare l’anno prossimo.
Una Lucca faticosa soprattutto per chi l’ha organizzata, che si è assunto un grande rischio di reputazione e sicurezza, scommettendo su una manifestazione senza avere tutti gli strumenti, le possibilità, le risorse, delle edizioni “prima”. E ben sapendo che era impossibile sfuggire ai paragoni, sul “prima”. E che ha saputo chiamare a sé, alla collaborazione, ancora una volta, decine di collaboratori e centinaia di persone che a diverso grado sono coinvolte nella manifestazione.
Prima, era davvero tutto diverso. “Ora”, in questa “Lucca”, sembrava di essere tornai ai problemi (code, reti che saltano, informazioni mancanti) di diversi anni fa. Del resto, un anno di “changes”, due di pandemia, pensavate che ci restituissero lo stesso mondo?
Non è così, e non solo per “Lucca”.
Il pubblico di Lucca, però, le vuole sempre, ancora, e forse ancora più bene: ha retto il colpo, pazientato in coda, perdonato il passo tutti i servizi che prima funzionavano e ora no.
«La pandemia ci renderà migliori».
«La pandemia ci ha resi peggiori».
Niente di tutto ciò è accaduto: la pandemia, semplicemente, ha amplificato chi eravamo, siamo e saremo.
La dimostrazione pratica di questo è stato il pubblico che ha letteralmente affollato Lucca durante i giorni della manifestazione Lucca Comics & Games.
Da sempre si è sottolineato come si tratti di ragazze e ragazzi che hanno voglia di divertirsi e niente più. Rispettosi degli altri, disposti a farsi lunghe file pur di arrivare ad avere l’albo del proprio autore firmato e sketchato.
Ci sono stati cambiamenti quest’anno?
Sì, nella logistica, e a cascata sui servizi. Nel senso che per accedere ai padiglioni in sicurezza e rispetto delle norme anti-Covid era necessario fare lunghe – a tratti lunghissime – file, soprattutto il primo giorno, “di rodaggio”. Era necessario mantenere un minimo di distanza e, comunque, avere la mascherina anche se all’aperto.
E loro, il cosiddetto ‘popolo dei Comics’, l’hanno fatto. Spontaneamente. Senza bisogno che ci fosse qualcuno che li richiamasse all’ordine.
C’erano, erano sempre lì presenti, quelli deputati a dire cosa si poteva o non poteva fare, ma, alla fine, non ce n’era bisogno, perché la situazione, dal punto di vista dell’ordine, non è mai sfuggita al controllo.
C’era un metro tra uno e l’altro? Forse no. Anzi, sicuramente durante le file un po’ di ammassamento c’era, ma non c’era ‘calca’ e, quindi, considerando il green pass di cui chi aveva il biglietto doveva essere in possesso e la mascherina, non creava grandi disagi o pericoli.
In compenso c’era la ‘fila per mettersi in fila’. E loro se la facevano senza fiatare. Senza protestare.
Il primo giorno è stato quello più complesso per la gestione delle file: probabilmente la stessa organizzazione aveva sottovalutato l’impatto che avrebbero avuto i 20mila e rotti biglietti giornalieri e aveva aperto oggettivamente pochi punti di consegna dei braccialetti (cosa che, in soldoni, significava il controllo del green pass e della temperatura). Questo ha portato, soprattutto nell’area di San Romano, alla creazione di interminabili file che iniziavano addirittura in piazza Napoleone.
Ma ottenere il braccialetto era solo il biglietto ‘torna al via’: già perché per entrare, ad esempio, all’ex Museo del Fumetto e vedere la mostra di ‘Arcane’ – molto gettonata tra i più giovani – dovevi tornare in piazza Napoleone e farti un’altra fila.
Poi, finalmente, entravi all’ex Muf, dove – udite, udite – ti dovevi fare la fila per entrare all’interno della parte di caserma che ospita la mostra. Insomma: tre file e molte ore (anche 4 o 5) di attesa per vedere la mostra.
Ha creato disagi? Beh, è ovvio che i ragazzi non fossero contenti, ma questo non è sfociato in proteste o in malcontento (e anche i post di commento sulla pagina Facebook ufficiale della manifestazione, ci sono critiche e difese).
È così.
Quest’anno è così.
Basta.
Non hanno discusso, ma accettato delle regole che quest’anno ci sono, con la speranza che il prossimo anno vengano spazzate via da una ritrovata normalità.
Intanto, però, si sono goduti questo spicchio di divertimento, ‘rubato’ a una pandemia che, comunque, c’è.
Forse in molti dovrebbero prendere esempio da questi ragazzi che vogliono tornare a vivere le loro passioni e non trovano poi così strano che, in un periodo di transizione come quello che stiamo vivendo, ci siano anche regole e file da sopportare.
Ci sono cose che ci sono piaciute molto, di questa “nuova” Lucca.
E che vorremmo ritrovare nell’edizione 55.
Oltre al grande “pro” di averla vissuta, di aver rivisto gli amici, di aver fatto acquisti, il privilegio di poterla raccontare, vogliamo segnalare altri pro di questa edizione:
> il ritorno a un orario di chiusura più umano (anche in senso fantozziano!): se i padiglioni chiudono alle 19,30 ci può essere una cena alle 20 e un dopocena alle 22, con vantaggio del pubblico in serenità, dei locali nella possibilità di doppio turno;
>abbiamo utilizzato nuovamente il Palazzetto dello sport, che ha un elevatissssssimo valore nostalgico per chi ha vissuto la Lucca degli anni Novanta (ci abbiamo conosciuto Patrick McDonnell, papà dei Mutts, nel 2001! <3);
>altro vantaggio i padiglioni più larghi, vivibili, accessibili.
Lucca ha una dimensione limitata e spazi di accoglienza mica grandi, per questo sarà difficile mantenere questi standard se si vuole tornare ai numeri di prima. Ma non è detto che i numeri di prima siano da auspicare. Un buon suggerimento può venire da un’altra cosa che ha funzionato: i Campfire: dimostrano che si può fare una “Lucca diffusa” con eventi di qualità, raggiungendo a casa sua chi non può/vuole venire, e “allentando” una parte di pressione dalla città.
Anna Benedetto
Federica Di Spilimbergo
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