Manuel Agnelli e Gipi a ruota libera a #LuccaCG19 parlano della nuova graphic novel dell’artista pisano, di immigrazione e degli Afterhours

Manuel Agnelli e Gipi a ruota libera a #LuccaCG19 parlano della nuova graphic novel dell’artista pisano, di immigrazione e degli Afterhours

Quale fosse il tema dell’incontro non è così importante: i protagonisti sono tali da rendere ogni argomento solo un punto di partenza, un pretesto per partire verso una meta distante anni luce. O forse vicinissima.

I protagonisti dell’incontro clou del pomeriggio alla Sala Robinson sono sicuramente stati Gipi e Manuel Agnelli che hanno conversato con Luca Valtorta (in teoria) sul nuovo libro di Gipi. ‘In teoria’ dicevamo, perché, di fatto, l’incontro si è trasformato in breve in una chiacchierata tra due amici di vecchia data su moltissimi temi.

«Fino a due anni fa Manuel non conosceva Gipi – spiega Valtorta – ma mi contattò perché voleva portare in trasmissione dei personaggi che, in qualche modo, spaziassero dal solo ambito musicale, ma fossero in qualche modo affini a lui e io ho suggerito Gipi».

«In realtà conoscevo le sue graphic novel e mi piacevano – incalza Manuel Agnelli – ma non avevo mai avuto modo di conoscerlo. Poi me lo sono trovato davanti ed è stato come mi trovassi davanti ai miei migliori amici, che non sono più di 2 o 3: aveva lo stesso modo di affrontare le cose e, quindi, è bastato poco perché anche lui diventasse uno dei miei migliori amici».

Gipi invece si professa ignorante di musica, ma perfetto ‘uomo medio’, quindi racconta che, al momento che si sono incontrati, non conosceva affatto le canzoni degli Afterhours, ma lo conosceva bene e apprezzava come giudice di X-Factor. Da allora, però, il tempo è passato e Gipi adesso conosce bene le canzoni di Agnelli, come sottolinea Valtorta, sottolineando la passione musicale di Gipi.

«Ho avuto tante band – racconta l’artista pisano – ad esempio sono stato tastierista di un gruppo punk, cioè ero lo sfigato di turno, poi a 17 anni cantavo in falso inglese in un gruppo che era musicalmente un disastro. Sono stato anche bassista di un gruppo reggae, ma era il periodo che fumavo tanta marijuana, pensa che mi ero fatto crescere i capelli e fatto delle treccine che chiudevo con i sigilli del salame. In realtà ho nel cassetto più di 200 canzoni e fanno tutte cacare, ma sono contento così. Sono contento perché tutto sommato quelle sono mie, non devo rendere conto a nessuno: fanno cacare? Bene. Sono libero di scrivere tutte le canzoni che fanno cacare che mi va. Non come il lavoro, dove comunque devi rendere conto agli altri. Invece io voglio mantenere sempre di sottofondo questa sensazione di libertà: so che non è possibile averla in tutti gli aspetti della vita, ma se c’è in alcuni, mi ricorda che posso esserlo anche in altri».

Non la pensa molto diversamente anche Manuel Agnelli sulla libertà. Anzi. Tra le righe di quello che dice si può leggere una sorta di ‘pietra tombale’ (almeno per ora) sugli Afterhours. «Fare parte di una band è una cosa che ha due diversi aspetti. Quando sei giovane, ti serve e ti aiuta a prendere fiducia in te stesso. E’ una sorta di rete di sicurezza e aiuta davvero molto. Poi, però, maturi, ti sei definito come artista e vuoi essere te stesso, senza doverti mettere continuamente in discussione. E, poi, vuoi per te gli ultimi colpi». Per Agnelli quando qualcosa che ami diventa lavoro o progetto, alla fine è un po’ come se davanti a te nascessero dei binari che poi è necessario seguire: «Non parliamo poi dei tour – ride il frontman degli Afterhours – quando ti fanno scherzi simpatici come metterti la schiuma da barba negli anfibi, oppure uno è al piano sopra il tuo e scopa tutta la notte e te no. O ancora, non si leva le scarpe da 2 mesi e tu non vuoi essere lì. Le tensioni nella band alla fine sono nate per queste ragioni ed è questo che rompe l’incantesimo».

Pur tenendo conto delle sue dichiarazioni dello scorso anno, quindi, che dava gli Afterhours in stand by, ma non sciolti, dalle sue parole sembra però che il ‘divorzio’ sia qualcosa di più concreto di quello che si potesse pensare.

La nuova graphic novel di Gipi, ‘Momenti straordinari con applausi finti’ racconta di uno stand-up comedian che vive una situazione veramente difficile: ha la madre in fin di vita e, comunque, ogni sera, va sul palco per far ridere il pubblico e lo fa anche per ‘nascondersi’ dalle emozioni troppo forti di un evento così traumatico come la morte della madre. Una storia che lo stesso Gipi afferma rispecchia perfettamente il suo percorso e quello che lo ha portato a scrivere la storia: anche lui aveva da poco perso la madre, con la quale aveva un rapporto decisamente difficile e, alla constatazione che non stava provando un dolore come ci si poteva aspettare, ma non provava assolutamente niente, Gipi si è chiuso in casa a scrivere questo nuovo lavoro. Un progetto che lo ha assorbito completamente, anche perché andava avanti senza avere una sceneggiatura, ma tavola dopo tavola.

«A pagina 86 è arrivato il disegno di un bambino illuminato dal sole – racconta – che altri non era che il protagonista da bimbo, che poi in fondo era me, e dice al protagonista ‘va beh, basta, parliamo di quello che è veramente importante, parliamo di mamma che sta morendo’. Gli dice di essere sulla schiuma dell’esistenza, di essere solo un superficiale e lo riporta ai tempi in cui era bimbo con la mamma. Lui si è creato l’idea di essere stato infelice, invece il bimbo gli fa vedere che non era così, ma che lui – il bimbo – era invece molto felice. E’ un po’ come se gli dicesse ‘Ti sei voluto creare questa immagine di un artista tormentato dal passato infelice, ma non è così’ e gli dà del coglione in tutti i modi possibili e immaginabili. Secondo me è il miglior personaggio che abbia mai disegnato e avrei voluto non smettere mai».

«E’ questo che mi piace di Gipi – afferma Agnelli – anche quando dice cose forti e personali come queste, lo fa con equilibrio e in qualche modo con leggerezza. E’ un equilibrio molto difficile che lui riesce sempre a trovare».

Ma Agnelli, parlando anche della sua esperienza televisiva, racconta che, quando faceva ‘Ossigeno’, ha chiesto a vari personaggi ospiti e rappresentanti di quello che si può definire il ‘mondo culturale’ se, vista la situazione odierna, era il caso, secondo la loro opinione, di prendere posizione netta a fronte di determinate scelte operate dal Governo: «Ebbene – ha detto – il 90 per cento degli ospiti, mi ha risposto di no. Ritengo che questo sia accaduto perché vogliono essere liberi da vincoli sociali e umani, ma a mio avviso si tratta di un grossissimo limite e di una forte mancanza di lucidità. Parliamoci chiaro, la vanità ci appartiene. Appartiene a tutti noi che stiamo su un palco e ci piace non scontentare nessuno, ma adesso c’è anche la necessità di fornire un punto di riferimento, che non deve essere necessariamente positivo, ma può anche non essere seguito. L’importante è dare un punto di riferimento su cui riflettere».

Per Agnelli, la nostra società ha perso la grande opportunità che gli proveniva dal web e dalla libertà fornita da questo. In sostanza, secondo lui «avevamo la possibilità di avere una comunicazione orizzontale, dove tutti eravamo uguali a tutti. Era un meraviglioso mondo di grande libertà, ma siamo riusciti a distruggerlo. L’umanità fa veramente schifo e internet, a questo punto, è una tragedia».

Una tematica che trova pronto Gipi a intervenire: «Secondo me, Twitter è un luogo feudale – dice – dove il signorotto fa un tweet figo e gli altri gli vanno dietro. Io credo di aver discusso con tutti su Twitter: molti mi chiedono perché lo faccia e mi dicono di abbassarmi al loro livello. Piano, io non mi abbasso, perché siamo tutti allo stesso livello. Siamo tutti alla pari. Invece, i politici populisti funzionano bene perché, di fronte a una qualsiasi situazione, non ti chiedono di migliorarti, di essere migliore di quello che sei, ma semplicemente ti dicono di abbandonarti al tuo lato peggiore e che loro saranno al tuo fianco». Da queste considerazioni a parlare di immigrazione, il passo è ovviamente molto breve. La considerazione da cui parte Gipi è che, da che mondo è mondo, in effetti, l’uomo ha sempre cercato di migliorare le proprie condizioni e di garantire condizioni migliori per i figli, quindi quello che sta accadendo e a cui stiamo assistendo, di fatto, è assolutamente normale e umano e che verranno comunque, qualsiasi cosa si possa dire o fare. Quello che cambia è il futuro: un’accoglienza ostile, per Gipi (ma non solo per lui) darà vita a un’ostilità di ritorno da parte degli immigrati, mentre un’accoglienza ‘umana’, farà sì che avremo dei futuri cittadini italiani, rispettosi delle leggi e grati per quello che hanno trovato, cioè quella vita migliore.

«Il mio non è buonismo – afferma con forza – è solo opportunismo: quando avrò 70 anni, voglio attorno a me persone che non mi odino per come sono stati accolti».

Non distante da questa posizione è anche Agnelli: «Abbiamo creato dei danni strutturali nella gente. Il fatto che un morto albanese valga meno di un morto italiano è semplicemente mostruoso. Eppure, siamo stati anche noi nei loro panni: quando ero ragazzo e andavo all’estero per ‘vedere il mondo’, cioè a fare sesso, diciamolo, mi sono reso conto che c’era molta diffidenza nei confronti degli italiani che proveniva dal dopoguerra, ancora troppo vicino per essere dimenticato. In quegli anni, infatti, gli italiani, pur non spostandosi con i barconi, andavano nel nord Europa, senza documenti e cercavano di assicurarsi una posizione senza farsi poi troppi scrupoli. Questo ha fatto sì che gli italiani anche oggi non siano visti benissimo, anche se non viene ammesso. Quindi, è assurdo che proprio noi non capiamo quanto ci accade di fronte. Nonostante questo, l’ipocrisia dell’umanità arriva al punto che se una cosa non si vede, allora non esiste, ma questa la vediamo e non si sa come affrontarla, allora parte tutta la retorica a cui assistiamo».

L’incontro arriva in breve alla sua chiusura e non può mancare la domanda su una possibile/probabile futura collaboraziore tra i due artisti che insieme rispondono: «La voglia di fare qualcosa insieme c’è, ma al momento non sappiamo bene cosa». Non resta che aspettare che questo ‘incontro umano’ divenga anche un ‘incontro artistico’ del quale poter godere tutti.

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