La vita, le parole in gioco e tutto quanto: il lungo viaggio di “ludus” nel nostro lessico

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La vita, le parole in gioco e tutto quanto: il lungo viaggio di “ludus” nel nostro lessico

Un saluto a tutti i lettori di Gattaiola! Al termine del meraviglioso primo “Festival del giornalismo ludico tenutosi dal 31 maggio al 1 giugno 2025 a Urbino in Gioco, che quest’anno aveva come tema le parole del gioco, Anna mi ha chiesto di entrare a far parte della squadra della redazione di Gattaiola.it. Ho accettato volentieri e spero proprio di non “deludere” (come vedrete, mai parola fu più azzeccata! ^_-). Come primo post infatti vi riporto un piccolo estratto del seminario che ho tenuto in quella sede, che aveva per titolo “La vita, le parole in gioco e tutto quanto…”. Parlerò infatti del lungo viaggio della parola “ludus” nel nostro lessico.

Ringrazio di cuore Anna (a parte per l’amicizia) anche per aver fatto da moderatrice e per avermi proposto di entrare a far parte di questa bellissima squadra.

Il gioco serio dei Romani che vive ancora nelle nostre parole

Il palco del festival ed il banner di Gattaiola! :)

Per i Romani, giocare non era una cosa da bambini. O meglio: lo era, ma non solo. La parola ludus, in latino, indicava una gamma sorprendentemente ampia di attività: gioco, scuola, spettacolo, esercitazione, addestramento. Una sola parola per dire tutto ciò che, in qualche modo, riguarda l’azione libera, simulata, rituale. Oggi diremmo “attività simbolica”. Per loro era ludus.

Nel tempo, quel termine ha continuato a vivere, trasformandosi in una costellazione di parole che usiamo ogni giorno. Anche quando non ci pensiamo. E dietro ognuna, c’è un pezzetto del mondo romano che sopravvive nella lingua.

Nel mondo romano, i bambini iniziavano il loro percorso scolastico nel ludus litterarius. Il nome stesso suggeriva che l’apprendimento, almeno nella sua fase iniziale, doveva avere qualcosa di giocoso. Un’idea moderna in anticipo sui tempi. Ma ludus indicava anche l’arena dove si allenavano i gladiatori – come nel celebre Ludus Magnus a Roma – e i grandi giochi pubblici (ludi publici) offerti al popolo in occasione di feste religiose o eventi politici.

Il gioco, dunque, era una cosa seria. Un’esperienza che poteva insegnare, intrattenere, formare, unire. E proprio da questa polisemia originaria nasce una sorprendente quantità di parole che ancora oggi utilizziamo, spesso inconsapevoli della loro radice.

Parole che giocano: dal latino al quotidiano

Due giocatrici si nascondono dietro un labirinto.

Pensiamo a alludere. Quando diciamo che qualcuno “allude” a qualcosa, stiamo letteralmente “giocando con le parole”, evocando un significato nascosto, accennato. Alludere, infatti, viene da ad-ludere, cioè “giocare verso”, insinuare con leggerezza.

Eludere, invece, ha un senso diverso: significa “sfuggire”, “evitare abilmente”. Anche qui c’è un gioco, ma più scaltro: e-ludere vuol dire “giocare fuori”, aggirare un ostacolo con astuzia. Lo usiamo per chi elude una domanda, una regola, un controllo. Un verbo elegante per descrivere piccole (o grandi) furbizie.

Ancora più interessante è colludere, oggi meno comune ma dal significato preciso: “complotto segreto”, “gioco d’intesa”. Col-ludere è “giocare insieme”, spesso con l’idea di un accordo non dichiarato, quasi sempre sospetto. Da cui deriva anche collusione, parola entrata stabilmente nel linguaggio giudiziario e giornalistico.

E poi c’è illusione. Dall’etimo in-ludere (“giocare dentro”), indica l’essere coinvolti in un gioco mentale, in una rappresentazione della realtà che non corrisponde al vero. Quando ci illudiamo, in fondo, siamo partecipi – spesso inconsapevoli – di un gioco della mente.

Non meno importanti sono deludere (deludere le aspettative: de-ludere, “uscire dal gioco”), preludio (il gioco prima dell’azione vera e propria), e interludio (la pausa in mezzo, il momento più libero, tra un atto e l’altro).

Tutte queste parole hanno mantenuto, pur cambiando significato, un’eco dell’idea originaria di ludus: il movimento, il travestimento, la simulazione, il “fare come se”. Una grammatica del possibile, che si insinua nella lingua e nella realtà.

Il lato serio del gioco

È affascinante notare come quasi tutte queste parole derivate da ludus abbiano assunto nel tempo una connotazione seria, a volte perfino drammatica. Non c’è più la spensieratezza dell’infanzia: ci sono l’inganno, l’ambiguità, la strategia. Il gioco, col passare dei secoli, si è fatto più sofisticato, e anche più pericoloso.

Ma proprio questa trasformazione testimonia quanto sia potente e radicata l’idea di ludus nella cultura occidentale. Giocare non è solo svagarsi: è esplorare, fingere, provare a capire il mondo. È agire in modo simbolico, ma con effetti reali.

Nella lingua di tutti i giorni, quel mondo romano continua a vivere. E ogni volta che alludiamo, eludiamo o ci illudiamo, senza saperlo, stiamo ancora “giocando” con le parole. Proprio come facevano i nostri antenati, che chiamavano ludus tutto ciò che – pur non essendo realtà – ci aiutava a comprenderla.

Nell’elaborazione di questa ricerca e di questo testo è stata utilizzata l’AI.

1 Comment
  • Marco
    Posted at 14:38h, 17 Giugno Rispondi

    Bellissimo , interessante e leggero. Ottimo lavoro!

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